Orazione ufficiale della Presidente Antonella Lestani alla cerimonia del 14 settembre 2024 ad Ampezzo


ORAZIONE UFFICIALE 14 SETTEMBRE 2024 – AMPEZZO – 80esimo Anniversario della Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli 

L’ANPI porge il suo saluto al Signor Presidente, ai partigiani e alle partigiane, alle Autorità civili, militari e religiose, ai rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma, alle cittadine e cittadini che oggi hanno voluto essere presenti a questo solenne anniversario per ricordare e riflettere su ciò che è stata la storia del popolo carnico e dell’Italia sulla strada della democrazia.
Quest’anno ricorre anche l’80mo anniversario di fondazione della nostra associazione che in Friuli ha raccolto e rappresentato, fin dall’immediato dopoguerra, le istanze di tutte le formazioni partigiane, quelle della Garibaldi e quelle della Osoppo, formazioni che combatterono in montagna così come in pianura contro i fascista e i nazisti invasori.
Oggi storia e memoria si incontrano: storia come racconto dei fatti accaduti; un racconto oggettivo di quegli episodi, documentato e analizzato criticamente. Memoria come un vissuto complesso di esperienze delle genti carniche.
A 80 anni da quel 1944 ricordiamo gli uomini e le donne che si trovarono a fare scelte difficili, con la consapevolezza della responsabilità nei confronti delle proprie comunità. Va ricordato che rispetto ad altre esperienze di Zone Libere, quella della Carnia fu la più estesa ma, soprattutto, che difenderla significò sottrarre la sua popolazione al programma di annessione al Terzo Reich quando, dopo l’8 settembre 1943, il territorio fu compreso nell’Adriatische küstenland germanico.
L’esperienza durò quasi tre mesi e la collocazione strategica fu importante per le vie di comunicazione e per i contatti con le altre zone della Resistenza del nord Italia.
Durante quel periodo nelle forze armate partigiane, come nel CLN, si cercò un’intesa che unisse gli sforzi contro il nazifascismo. Talvolta ci si riuscì, come nel pordenonese con il comando unificato delle divisioni Garibaldi e Osoppo, con la lungimiranza di Maso e Tribuno, in altre situazioni fu più difficile e vi furono errori ed anche dolorosi tragici eventi che lasciarono tracce e divisioni non ancora cancellate, ma che non possono prevalere su quello che fu il valore della comune lotta per la libertà e l’indipendenza del Paese.
In Carnia la Zona libera si realizzò nello spirito del patto unitario, stilato dal C.L.N. a Bari nel gennaio 1944. Nel continuo confronto, si innescarono nei territori meccanismi di appropriazione di un nuovo statuto politico dopo vent’anni di regime fascista; meccanismi che prevedevano che liberazione e democrazia non potessero realizzarsi senza un profondo coinvolgimento della popolazione. Qui, in Carnia, questo si realizzò attingendo ad una tradizione di gestione delle comunità e del territorio che caratterizzano l’originalità di questa esperienza.
All’inizio i CLN videro l’impegno di poche persone: alcune avevano formazione politica compiuta, spesso maturata nei mondi dell’emigrazione, nella guerra di Spagna ed al Confino.  Come Aldo Fabian di Prato Carnico, nato nel 1899 e Giovanni Pellizzari di Enemonzo, nato nel 1911; per un’ altra generazione, più giovane, quella che aveva conosciuto i fronti di guerra voluti dal fascismo, fu proprio questa un’occasione di crescita politica e di consapevolezza civile, come per Ciro Nigris, Mario Candotti ed altri. C’erano anche personalità come Aulo Magrini, medico di Ovaro, formatesi in famiglie di tradizione democratica con conoscenza dei problemi della popolazione delle terre alte; personalità venute dall’esterno tra cui Gino Beltrame, Armando Zagolin, medico ad Ampezzo e Rinaldo Cioni, direttore della miniera di Cludinico e presidente del Comitato di Liberazione Nazionale della Val di Gorto.
Verso la fine di luglio del 1944, diventò più chiara la possibilità di realizzare la Zona Libera, nella direzione di quello che si preconizzava come il futuro assetto democratico del Paese.
Rispetto ad altre zone libere d’Italia, il processo compiuto su queste montagne verso la democrazia, presentava alcune caratteristiche particolari: l’unità amministrativa di tutto il territorio liberato, la separazione netta fra civili e militari, fra governo civile e forze partigiane, l’allargamento della base democratica nei CLN territoriali con l’inserimento del Fronte della Gioventù, dei Gruppi di Difesa della Donna, dei Comitati dei Contadini e di quelli degli Operai, partecipazione della rappresentanza della popolazione alle riunioni; elezioni popolari con il voto ai capifamiglia uomini e donne; un’architettura istituzionale tendente all’autogoverno. I primi provvedimenti guardarono alla parte debole della comunità: la Giunta provvisoria di governo, emanando appositi decreti, si impegnò per tutelare il patrimonio boschivo, scelse un regime fiscale progressivo e più imparziale, che ricorda l’art. 53 della nostra Costituzione, una scuola rinnovata nei programmi e nei valori educativi, libera da tutti i retaggi del fascismo. Introdusse un Tribunale Popolare emanando un decreto di abolizione della pena di morte per alcuni reati, pena di morte reintrodotta dal fascismo dopo la sua abolizione nel 1890. Era questa l’idea di uno Stato che non uccide: luci di speranza dopo vent’anni di cultura politica intrisa di barbarie culturale e civile .
La lotta per la libertà di questi territori contro tedeschi, fascisti e cosacchi fu durissima. Lo dimostra il prezzo pagato dalle centinaia di partigiani e civili caduti in Carnia. Partigiani come Mansueto Nassivera “Leone”, Aulo Magrini “Arturo”, Italo Cristofoli “Aso”, Pietro Roiatti “Gracco” , Augusto Nassivera “Grifo”, solo per citarne alcuni dei più noti, ma dovremmo per giustizia e gratitudine citare i tanti giovani caduti di cui oggi resta ormai solo il nome e la memoria in qualche famiglia.
Alcuni di quei protagonisti che sopravvissero, a guerra finita, trasferirono questi valori nell’esperienza della ricostruzione, tra loro Romano Marchetti, Ciro Nigris, Elio Martinis. Molti altri sparirono nell’anonimato del quotidiano e nella emigrazione, talvolta discriminati ed oggetto di decine di processi condotti da una magistratura già compromessa durante il fascismo: Troppo pochi, purtroppo, ricomparvero nella vita pubblica del nuovo Paese.
Grande fu il prezzo pagato anche dai civili che videro per mano nazifascista bruciare Forni di Sotto, Esemon, Bordano, Barcis, che subirono le stragi di Malga Pramosio, i rastrellamenti e le deportazioni di Paluzza e Sutrio e la depredazione dei propri beni.
Qualcuno disse che senza le donne non vi sarebbe stata la Resistenza italiana; questo fu ancora più vero in Carnia dove le donne, alle quali io dedico questa mia orazione, rivestirono un ruolo fondamentale nell’esperienza della Resistenza e della Zona Libera della Carnia, territorio in cui da secoli erano perno della gestione dell’economia montana e quindi con un ruolo di rilievo nella vita famigliare. Quando la Carnia venne isolata e bloccati i rifornimenti, furono le donne a salvare la situazione: volontarie, organizzate dalle Giunte Popolari della Repubblica di Carnia, oppure dalle singole famiglie, garantirono l’approvvigionamento, portando per Passo Rest sulle proprie spalle, quello che l’Intendenza Partigiana Montes raccoglieva nella pianura e che era indispensabile per la sopravvivenza della propria famiglia e per la comunità. Rientravano ai paesi portando sulle spalle gerle fino a 50 kg. di viveri: portatrici volontarie, non più di bombe per una guerra di cui non conoscevano la ragione, ma di ciò che serviva al proprio paese per vivere, resistendo ad un invasore.
Donne coraggiose e determinate, capaci di trasformare i funerali dei partigiani caduti in una grande manifestazione di popolo: una forma di disubbidienza nel segno della solidarietà civile e morale, in contrapposizione alla violenza ed alla guerra.
Partigiane come Paola, Luisa, Clelia, Elsa, Gianna, Carmela. Staffette, infermiere, fabbricanti di esplosivi; donne esposte al rischio quando accoglievano chi aveva bisogno e quando viaggiavano in solitudine; con la paura di essere arrestate, torturate, deportate, oppure uccise per non voler tradire la propria gente o i compagni di lotta.
E’ anche grazie alle tante donne che una certa visione retorica militaristica della Resistenza viene superata facendola diventare Resistenza di popolo, con la sofferenza, la solitudine, la debolezza, la contraddizione, la ribellione ed il coraggio di chi scende in campo. Così è ancora oggi, quando le donne entrano in campo, nelle piazze e nelle case, in tanti Paesi, lottando con mezzi difficili da definire, ma indispensabili per costruire un mondo in cui tutti possano vivere con maggiore dignità.
L’esperienza della Giunta provvisoria di Governo non ebbe lunga durata. La grande offensiva prese avvio l’8 ottobre a Tolmezzo; 20.000 uomini: truppe germaniche e cosacche, affiancate dalla X Mas, rioccuparono la zona difesa da appena 5000 partigiani, male armati ed affamati. Fu l’inizio di un lungo inverno durante il quale, il nemico si riprese i paesi e instaurò un dominio di violenza durato fino all’ ultima battaglia, la strage di Ovaro e quella di Avasinis nel maggio 1945.
Quanti conoscono oggi la storia delle Zone Libere? Quanto vengono studiate a scuola? Cosa rimane di tutto ciò; qual è l’impronta che resta? E’ una domanda che rimarrà sempre aperta per chi vorrà confrontarsi con quello che è il lascito morale e civile della Resistenza: con la Costituzione antifascista, nata dalla Lotta di Liberazione, chiedendone la sua completa attuazione.
Diceva Tina Anselmi che la democrazia: “è un bene fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo”. Ecco perché siamo qui oggi. Non solo per fare memoria. Siamo a fare dell’Italia e della Carnia un paese non rassegnato al peggio, ma consapevole delle sue radici, della sua cultura, della direzione che esprime la sua Costituzione: la quale vuole tutti liberi e uguali,  con i diritti riconosciuti e i doveri esercitati.
Viva la Carnia libera, madre consapevole della nostra Costituzione

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